Formazione e mercato del lavoro in Italia. Un castello con le fondamenta di sabbia.

Da molti anni il sistema informativo di Excelsior mostra come le previsioni di assunzioni da parte delle imprese (e di una parte del terzo settore, le imprese “sociali”) italiane si orientino soprattutto verso figure specializzate e qualificate, intendendo con questi termini o diplomati quinquennali (in istituti tecnici o professionali) o diplomati con qualifica (scuole professionali della durata di tre o cinque anni). Solo successivamente vi è la richiesta di laureati, mentre permane la richiesta di lavoratori con titolo di studio inferiore alla qualifica (e quest’ultimo dato ci dice già molto sulla struttura occupazionale italiana). Tale tendenza è ancora più marcata quando si prendono in considerazione gli “under 30”, ovvero giovani lavoratori da immettere velocemente nel circuito produttivo attraverso un apprendistato o una formazione on the job. Questa tendenza è ovviamente spiegata da due elementi: da un lato la già citata struttura occupazionale italiana fatta di lavori tendenzialmente a medio – bassa intensità tecnologica, di imprese in larghissima parte di piccole o medie dimensioni, di aziende caratterizzate da cicli produttivi, dall’altro la possibilità di utilizzare per i più giovani contratti vantaggiosi sul piano dell’onerosità economica/contributiva (contratti di formazione, di apprendistato, etc.). Queste e altre evidenze sono alla base di riflessioni (quali quelle di Carlo Barone) intorno al fatto che anche se l’Italia ha meno laureati di molti altri Paesi UE, c’è un serio problema di assorbimento della forza lavoro con titolo di studio terziario, e questo a causa dell’elevata età all’ingresso nel mercato del lavoro, delle alte aspettative economiche e di mansione dei laureati, della forte presenza di laureati in discipline non tecnico-specialistiche, etc. Siamo dunque di fronte a un vero e proprio “mismatch”, un disallineamento tra le richieste delle imprese e il capitale umano a disposizione. In uno dei “Quaderni di TreLLLe” gli autori sostenevano che “preoccupano il calo delle iscrizioni agli istituti tecnici a livello secondario e, a livello terziario, la scarsità di un’offerta di formazione tecnica superiore breve” segnalando la costante diminuzione nel tempo di giovani che al termine della scuola secondaria di primo grado si orienta verso un indirizzo di tipo tecnico.

A cura di Orazio Giancola

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